Fausto Coppi by Gianni Rossi

Fausto Coppi by Gianni Rossi

autore:Gianni Rossi [Rossi, Gianni]
La lingua: ita
Format: epub
editore: BOLIS EDIZIONI
pubblicato: 2012-07-08T22:00:00+00:00


Per la biografia di Claudio Gregori vedi qui.

La citazione è tratta da Curzio Malaparte, Deux visages de l’Italie (1949), oggi in Coppi e Bartali, Milano 2009.

Alfredo Binda, commissario tecnico della squadra italiana, e Fausto Coppi in maglia gialla all’arrivo della tappa di Colmar al Tour del 1949.

Nel 1949 Coppi aveva vinto la sua terza Sanremo per distacco, suscitando lo stupore di Louison Bobet, che aveva esclamato: «Quando è partito sul Berta, sembrava fosse un aeroplano».

Poi aveva schiantato Bartali al Giro d’Italia: prima sulle Dolomiti e, poi, nella Cuneo-Pinerolo.

Il 30 giugno è a Parigi, al via del Tour. A nessuno era mai riuscita la doppietta Giro-Tour.

Davanti alla sua ruota 4.808 chilometri divisi in ventun tappe. Nella squadra italiana, forte di dodici uomini, Bartali ha il numero 1, Coppi il 4. L’Italia B, sei corridori, ha per capitano Magni, spalleggiato da Alfredo Martini.

Il presidente Rodoni era contrario a mettere insieme in squadra Bartali e Coppi a dieci mesi dalla “vergogna di Valkenburg”, il campionato del mondo, in cui i due, disonorando la maglia azzurra, si erano marcati, prima di ritirarsi ingloriosamente. Ma il commissario tecnico Alfredo Binda, abile diplomatico, dopo una serie di incontri a Chiavari li ha impegnati all’alleanza. L’accordo passerà alla storia come “Il Patto di Chiavari”, anche se fu firmato all’hotel Andreola di Milano il 16 giugno.

Bartali e Coppi partono come capitani alla pari. Appena arrivato a Parigi, Binda va da Goddet, direttore de “L’Équipe”, il giornale organizzatore, e, proprio per tutelare alla pari Bartali e Coppi, chiede una seconda vettura. Goddet accoglie la richiesta. Così, per la prima volta, ogni squadra ha a disposizione due vetture. Quelle italiane portano a bordo l’una Binda, l’altra Giovanni Tragella, direttore sportivo della Bianchi di Coppi.

Quella di Binda diventerà subito centrale, il polo cercato da tutti i media. Così, sarà proprio in questo Tour che il giovane corrispondente della “Gazzetta dello Sport” da Parigi Gianni Brera, non potendo soffrire la perifrasi «la vettura del commissario tecnico Alfredo Binda», la battezzerà «l’ammiraglia». Quel nome avrà successo.

Bartali e Coppi sono al centro della scena. Curzio Malaparte li ha dipinti con un grande articolo sulla rivista “Sport Digest”, intitolato: Le deux visages de l’Italie: Coppi et Bartali. Scrive: «Gino è figlio della fede. Fausto è figlio del libero pensiero». «Bartali crede all’aldilà, al paradiso, alla redenzione... Coppi è un razionalista, un cartesiano, uno spirito scettico, un uomo pieno di ironia e di dubbi.» Bartali «è un mistico», che «prega pedalando». «Fausto Coppi, invece, è un meccanico. Crede solo al motore...»

L’anno prima Bartali, sulle Alpi, aveva schiantato il giovane Louison Bobet, con tre vittorie consecutive per distacco. Si era imposto a distanza di dieci anni dal successo del 1938: aveva vinto sette tappe e il Gran Premio della Montagna. «Non toccatelo. È un Dio», diceva la gente al suo passaggio.

Bartali cerca il tris, riuscito solo a Philippe Thys. «Sembra scolpito da Michelangelo» dice Jean Bobet, fratello di Louison, più fortunato con la penna che con la bicicletta. I francesi, cresciuti sotto la Torre Eiffel, lo chiamano «L’Homme de Fer».



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